Dieta Zona perché? Memorie di un Nutrizionista (1). Su YOUTUBE
Chissà perché quando si arriva ad una certa età, almeno ad alcuni, come è successo a me, scatta la voglia di raccontare avvenimenti del proprio passato. Forse si tratta di semplice vanità, mascherata dalla pretesa di insegnare qualcosa a qualcuno, chissà. D’altra parte la Storia ci insegna che la Storia stessa non ha mai insegnato niente a nessuno, ed evidentemente lo scrivere del proprio passato serve solo a chi lo fa. Ma non importa.
Quando, dopo alcuni anni dedicati alla ricerca scientifica, decisi di intraprendere la professione di Nutrizionista, galleggiavo ancora sulle illusioni e le certezze che si acquisiscono all’Università ed ai corsi professionalizzanti.
Si comincia così a credere, ovviamente in assoluta buona fede dato che ti è stato detto da persone tanto più colte ed esperte di te, che problemi ormai epidemici come il sovrappeso o l’obesità ma anche quelli che una volta venivano chiamati DCA cioè Disturbi del Comportamento Alimentare come Anoressia, Bulimia e Binge, tanto per citare i più noti, (e che secondo il nuovo DSM-5 si chiamano invece DNA, cioè Disturbi della Nutrizione e dell’ Alimentazione), dipendano esclusivamente da un qualche eccesso calorico o, nel caso appunto dei DCA/DNA, da una qualche difficoltà nei rapporti familiari, più che altro con la madre, anche se questo era solo parzialmente un campo d’intervento per noi Nutrizionisti.
E, d’altra parte, ti veniva insegnato che da un punto di vista alimentare esiste una grossa differenza tra gli Zuccheri “semplici” come il Saccarosio (il comune Zucchero) ed il Fruttosio (lo zucchero contenuto nella frutta) e gli Zuccheri “complessi” come la pasta ed il pane.
Io, logicamente, ci credevo ed ho impiegato molto tempo per rendermi conto che l’organismo umano segue altre logiche. Non è stato, ovviamente, merito mio ma, in primo luogo, del prof. Jenkins e dei suoi studi sull’Indice Glicemico (I.G.).
Ma la cosa che mi ha profondamente stupito non molto tempo fa, quando mi sono trovato a fare il correlatore alla Tesi di Laurea di una ragazza che stava per laurearsi e per divenire una futura Nutrizionista, è che anche oggi si insegnano le stesse cose. Nessuno le aveva parlato, nel 2013, di cose come l’Indice Glicemico ed il Carico Glicemico, nonostante che questi concetti e queste scoperte risalgano ormai agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso.
Ma quello che, con il senno di poi, è forse anche peggiore, è che nessuno le aveva mai fatto un pur lontano cenno agli strettissimi rapporti che intercorrono tra il nostro modo di mangiare e la nostra psiche, le nostre emozioni, i nostri stati d’animo, in un rapporto di stretta interdipendenza ed interconnessione.
Tutto continua a ruotare attorno alle calorie, alle diete più o meno ipocaloriche e magari iperproteiche e senza che ci sia interesse per le cause sia individuali che socioculturali di questi fenomeni.
Non che sia semplice, ovviamente, dato che i fattori che sono in gioco sono moltissimi e non tutti facilmente individuabili neppure da parte degli “esperti” del settore.
Nonostante tutto però, penso che si possa almeno fare qualche tentativo per identificare i fattori più importanti che influenzano l’alimentazione e tutte le problematiche Psicobiologiche che le ruotano intorno.
Le storie della serie di “Da Lunedì mi metto a dieta” sono tutti casi veri che ho incontrato nel corso della mia professione come Nutrizionista e successivamente, dopo alcuni anni, anche come Psicologo. Qualche caso ha avuto un esito positivo, altri purtroppo no ed uno addirittura un esito drammatico.
Penso comunque che sia importante averli riportati fedelmente tutti, perché ognuno di loro ci può insegnare qualcosa e ci può aiutare a rendere “più naturale” il nostro rapporto con il cibo e con la nostra immagine corporea.
I miei inizi, ovvero: Senza paracadute.
Avevo appena terminato due corsi pratici presso un’azienda di integratori alimentari e prodotti dimagranti di … apprendendo il primo “protocollo” alimentare ed avevo preso accordi con un ambulatorio medico nella mia città per avere un posto dove avviare la mia professione come Nutrizionista ed avevo anche distribuito i miei biglietti da visita, dato che allora ancora non c’era Internet o si era comunque agli albori, che mi telefonò una signora per prendere un appuntamento. La mia prima paziente!
Nel frattempo avevo preparato anche una scheda per la raccolta dei dati anche grazie alle indicazioni, peraltro abbastanza vaghe, raccolte durante i cosiddetti corsi pratici, e mi ero munito del mio metro da sarta per la misura delle circonferenze corporee, fidando nella bilancia e nella stecca metrica dell’ambulatorio. Effettuati tutti i rilievi del caso, salutai la signora dicendole che il giorno dopo le avrei spedito al suo indirizzo la lettera con la dieta – ancora non c’erano le E-mail – e tornai a casa. Qui mi misi a fare i vari calcoli. La signora aveva un Indice di Massa Corporea (IMC) di 28, si trattava quindi un semplice sovrappeso. Calcolai in base alle tabelle il suo peso forma, ma qui ebbi la nettissima sensazione di essermi buttato dall’ aereo senza paracadute.
Come si fa a fare una dieta? In realtà, a parte le teorie e le varie indicazioni ricevute nei vari corsi, mi resi conto di non essere capace di scriverne una. Non sapevo da che parte cominciare. Stavano cominciando a circolare i primi cellulari ma erano una rarità e così mi attaccai al telefono, quello ancora con il selettore circolare da ruotare col dito.
Ebbi fortuna e rintracciai subito il Nutrizionista esperto che era stato nostro docente nell’ultimo corso. Era una persona gentile e comprensiva e si ricordava di me. In breve gli lessi i dati fisici della signora, si assentò un attimo e tornò dettandomi una dieta che, evidentemente, era già pronta.
Ricordo ancora che era una dieta ipocalorica da 1200 k.cal. In più c’era un lungo elenco di prodotti “dimagranti”, prodotti dalla ditta dove il Nutrizionista lavorava, che la signora avrebbe dovuto acquistare.
Per me fu una rivelazione. Pensavo di dovermi scervellare per costruire un qualcosa di specifico per la mia prima paziente ed invece mi rendevo conto che, all’atto pratico, esistevano delle soluzioni preconfezionate che dovevano essere valide, almeno in teoria, per tutti.
Non era la dieta che si adattava alla persona ma la persona che si adattava alla dieta. Confesso che questa “scoperta” per me fu una piccola delusione, mi sembrava che sminuisse il senso del mio lavoro ma, tutto sommato a ben pensarci, non è poi diverso dai protocolli terapeutici in vigore anche per gravi malattie. Se ti hanno diagnosticato questa malattia devi prendere queste medicine. Non so se questo sia la strada giusta per curare le persone, non mi sento in grado di giudicarlo, ma per quanto riguarda le problematiche legate all’alimentazione mi sembrava sin da allora un metodo che non poteva dare grandi risultati. Oggi, dopo molti anni, ne sono anche più convinto di allora.
Ricordo di quella prima dieta un particolare che mi colpì. Stando alle indicazioni ricevute dal mio ex-insegnate e che io inviai tali e quali alla signora mia paziente, doveva essere consumata tre volte alla settimana una certa dose di pomodori Ciliegini. Mi venne spontaneo chiedermi, visto che a me non piacciono, perchè la signora dovesse necessariamente usare quella varietà di pomodori e cosa sarebbe successo se avesse consumato una pari dose di pomodori “Sammarzano” o “Cuore di bue”. Mistero.
Non sono mai riuscito a capirlo, ma quello che nel tempo ho capito, almeno nel campo dell’alimentazione e del dimagrimento, è che più si creano vincoli e costrizioni immotivate alle persone, più si creano le premesse per il fallimento della dieta. E per le persone che hanno bisogno realmente di mettersi a dieta, ogni fallimento in questo campo comporta una riduzione dell’autostima ed un profondo senso di colpa che in molti casi viene compensato mangiando ancora di più.
D’altra parte, il cibo è la consolazione più semplice ed a buon mercato che esista e, per di più, è assolutamente legale. Quanto ai prodotti dimagranti, poi, è bene lasciar perdere, fanno dimagrire solo il portafoglio.
Non ho più rivisto la signora, non posso darle torto.
Intanto il tempo passava ed io continuavo a svolgere questa attività anche se non con grande soddisfazione. Avevo il mio piccolo corredo di diete da 800, 900, 1000, 1100, 1200 K.cal e così via.
Avevo cercato però di introdurre delle variabili, delle personalizzazioni, facendo una preventiva indagine alimentare con ogni singolo paziente in modo da evitare di fargli mangiare cose che non gli piacevano.
Si rifacevano tutte come schema a quella che veniva (e viene tutt’oggi) fatta passare per dieta Mediterranea ma che non ha nulla a che vedere con questa. Per fortuna nel frattempo si stavano diffondendo i computer e quindi non solo cominciavo a riuscire a spedire alcune delle diete via Mail, accelerando i tempi, ma riuscivo soprattutto a trovare novità ed informazioni sull’alimentazione che si trovavano con una certa difficoltà anche nelle biblioteche più specializzate.
Grazie a questo nuovo mezzo, tra le tante altre, mi resi conto di due cose.
In primo luogo che il famoso piatto di spaghetti o il cornetto con il cappuccino non avevano assolutamente nulla a che vedere con la Dieta Mediterranea come si poteva molto facilmente dedurre leggendo gli studi del Prof. Ancel Keys, il responsabile del “The Seven Countries study”, colui che ha addirittura inventato il termine Dieta Mediterranea.
E d’altra parte sarebbe bastato, come poi feci, chiedere ai parenti più anziani provenienti dalla Valdichiana come mangiavano solo prima della Seconda Guerra Mondiale e, comunque, prima del cosiddetto “Boom economico” degli anni ‘60, per scoprire che la Dieta Mediterranea era tutt’altra cosa e che non prevedeva né spaghetti, né cornetti e cappuccini. Ma la pubblicità è un’arma molto potente in grado di far scomparire in breve tempo anche la memoria storica di ogni cosa.
Un’altra interessante scoperta fu un nuovo (allora) tipo di dieta o meglio di stile alimentare messo a punto da un Biochimico americano, Barry Sears, che aveva almeno il pregio di avere delle basi scientifiche e di fornire dei parametri oggettivi per il calcolo delle dosi, parametri legati al singolo individuo. Si trattava di quella che l’autore aveva soprannominato Zone Diet.
Almeno dal punto di vista della fisiologia mi aiutò capire perché, nonostante il fatto che anche io avessi cominciato una delle mie diete ipocaloriche usando i famosi Zuccheri “complessi” come la pasta ed il pane, continuavo ad ingrassare. Anche per questo sono tutt’ora grato a Barry Sears.
Per capire perché mi capitasse spesso di mangiare comunque più del dovuto, invece, mi servì altro tempo ed altre esperienze.
Nel frattempo mi ero anche iscritto alla Facoltà di Psicologia della mia città dato che cercavo una spiegazione a strani risvolti del mio lavoro che non riuscivo bene a capire.
Se una persona si rivolge a me per farsi prescrivere una dieta dimagrante, io immagino che lo faccia per poi seguire quello che le viene detto da me. Pensavo, ingenuamente, che l’alimentazione fosse solo un problema di acquisire Carboidrati, Proteine e Grassi nella giusta dose e, magari, anche Vitamine e Sali minerali. Nonostante questo cominciavo a sospettare che le cose non fossero così semplici.
Devo riconoscere che i pazienti che ho avuto nel corso del tempo sono stati i miei veri insegnati e solo ragionando su quello che mi dicevano e facevano che ho cominciato a capire che le cose, almeno nel campo dell’alimentazione e dei comportamenti alimentari, stanno in modo un poco diverso dalle teorie, per quanto rispettabili. Segue… con Memorie di un Nutrizionista (2)
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