Anche quando parliamo di alimentazione, dobbiamo tenere presente il meccanismo dell’ Evoluzione. Essendo l’ Evoluzione un processo lentissimo, molto lentamente si modificano i comportamenti alimentari. Ciascuna specie sviluppa, nel corso di lunghi periodi, preferenze per cibi che le forniscono energia e tende a non reagire bene alle variazioni improvvise.
L’uomo paleo-neolitico era un abile cacciatore, inseguiva branchi di animali e si fermava dove la caccia era abbondante, raccoglieva bacche, frutti e vegetali ricchi di fibra. La necessità di sopravvivere gli impose determinate abitudini alimentari che, protrattesi per centinaia di migliaia di anni, hanno modellato le sue caratteristiche genetiche. L’alimentazione era composta prevalentemente da carne magra, frutta e verdura.
I reperti dimostrano che gli uomini e le donne avevano la stessa struttura scheletrica e la stessa percentuale di massa grassa degli attuali decatleti, che combinano velocità e forza.
Studi recenti dimostrano perché fossero così sviluppati fisicamente: con i carboidrati, assunti sotto forma di frutta e verdura, venivano ingerite grandi quantità di vitamine e sali minerali; si stima che la dieta tipica dell’uomo paleo-neolitico ne apportasse da due a cinque volte la RDA (livello di assunzione giornaliera raccomandata di nutrienti).
Tale armonia tra dieta e DNA venne turbata circa diecimila anni fa dall’ avvento dell’agricoltura e dell’allevamento, che aggiunse due nuovi generi alimentari: i cereali ed i latticini.
Diecimila anni rappresentano, da un punto di vista evolutivo, un periodo relativamente breve in cui il genoma, il patrimonio genetico di una data specie, non può mutare radicalmente: il DNA si è adattato con difficoltà all’ introduzione di questi nuovi alimenti, ed in alcuni casi è stato addirittura incapace di farlo.
La statura media dell’uomo paleo-neolitico era di circa 178 cm per i maschi e di 168 per le femmine; quando diecimila anni fa, in conseguenza all’ introduzione dei cereali, si ridusse il consumo di proteine animali magre la statura media diminuì di 15 cm. I centimetri persi sono stati recuperati solo in certe popolazioni e solo dopo diecimila anni, e per la maggior parte nel XX secolo, grazie ad una alimentazione più varia e ricca di proteine.
Per quanto riguarda i latticini si può partire dalla considerazione che gli esseri umani nascono dotati di un enzima chiamato lattasi, che permette di scindere il lattosio del latte materno in zuccheri digeribili. Frequentemente, dopo la prima infanzia, l’attività di tale enzima si riduce, e molti adulti diventano intolleranti al lattosio con conseguenti problemi a digerire latte e latticini.
Il latte bovino (anch’esso ricco di lattosio) divenne largamente disponibile solo ottomila anni fa, con lo stanziamento dell’uomo e l’allevamento del bestiame. Le uniche popolazioni che si sono evolute con la caratteristica di mantenere attiva la lattasi anche dopo l’infanzia sono quelle che consumano con grande frequenza latticini (principalmente gli scandinavi).
Per il resto della popolazione mondiale i latticini sono alimenti di difficile e laboriosa digestione (salvo lo yogurt che viene fermentato proprio per rimuovere il lattosio).
Simile il discorso per i cereali, carboidrati ad alto indice glicemico: quando ingeriti provocano un repentino innalzamento della glicemia nel sangue ed un conseguente rilascio di insulina da parte dell’organismo per riportare la glicemia a livelli normali.
Una produzione eccessiva ed istantanea di insulina stimola l’organismo ad accumulare adipe ed impedisce il consumo di quello in eccesso, il tutto con gravi rischi per la salute. Circa il 25 per cento della popolazione mondiale ha una reazione insulinica pigra, e pochi problemi, mentre un altro 25 per cento reagisce violentemente.
Sembra perciò che l’evoluzione porti, nel caso dei latticini, verso una maggior tolleranza al lattosio, e, nel caso dei cereali, verso una minore reattività insulinica ai carboidrati; ad oggi tale processo evolutivo non è ancora concluso ed un certo numero di individui sviluppano intolleranze alimentari (B. Sears; 1999).
In un articolo del 1997 (C.L. Broadhurst) si sottolinea come i grassi siano una componente fondamentale della struttura di tutti i cibi naturali.
L’uomo, prosegue l’articolo, è geneticamente ancora una specie paleolitica, e come tale necessita della stessa alimentazione dei suoi antenati di diecimila anni fa. La dieta paleolitica era costituita da una quantità bilanciata di grassi polinsaturi, monoinsaturi e saturi, trigliceridi e fosfolipidi.
È perciò raccomandata varietà nell’assunzione dei lipidi, varietà che deve riguardare sia il grado di saturazione sia la lunghezza della catena di acidi grassi. Il patologico accumulo di grassi, l’obesità e l’intolleranza al glucosio sono tra le conseguenze della principale dieta dell’uomo: quella basata sui cereali; il trattamento dei cibi (l’aggiunta di additivi, coloranti e la perossidazione dei grassi per poterli conservare più a lungo) amplifica tali problemi.
Pagina curata dal Dr. Andrea Bertani Psicologo
Bibliografia
Broadhurst, C.L. (settembre 1997). Balanced intakes of natural triglycerides for optimum nutrition: an evolutionary and phytochemical perspective. Med Hypotheses, 49(3): 247-61.
Sears, B. (1999). Come raggiungere la zona. Sperling & Kupfer editori. (pp. 94-99).