I disturbi cardiocircolatori, almeno in Italia, sono la prima causa di morte. Premesso che circa il 25% della nostra salute dipende da fattori genetici ed il rimanente dai nostri stili di vita, cerchiamo di capire i fattori di rischio che incidono nell’insorgenza di infarti ed ictus.
Cominciamo con i fattori non modificabili.
ETA’
Il rischio di sviluppare una malattia cardiovascolare è sicuramente correlato all’età. L’infarto del miocardio più frequente nei soggetti tra i 50 e i 60 anni.
SESSO
Da giovani ed in età matura, infarto e aterosclerosi sono più comuni negli uomini che nelle donne, ma con la menopausa il rischio tra uomini e donne si equipara.
FAMILIARITA’
Allo stato attuale delle conoscenze, la predisposizione a malattie cardiovascolari va attribuito a una pluralità di geni e quindi stabilirne il peso è difficile.
Sappiamo comunque che se in una famiglia ci sono parenti stretti che soffrono o hanno sofferto di malattia una qualche cardiaca, il rischio aumenta in modo significativo tanto che esso sembra raddoppiare per i fratelli, in conseguenza di stili di vita condivisi e della predisposizione genetica in comune.
Ci sono poi i fattori di rischio modificabili, e quindi ampiamente dipendenti dai nostri comportamenti e stili di vita.
IPERTENSIONE
Si parla di ipertensione quando la pressione arteriosa supera i 140/90 mmHg, indipendentemente dall’età e da altre condizioni patologiche coesistenti. L’ipertensione si sviluppa quando le pareti delle arterie di grosso calibro perdono l’elasticità naturale e si irrigidiscono. L’ipertensione affatica il cuore, può aumentarne le dimensioni, renderlo meno efficiente e favorire l’aterosclerosi. Per questo chi ha la pressione alta corre un rischio maggiore di infarto o ictus.
L’ipertensione può anche causare insufficienza renale e danneggiare la vista. Rimanere nel peso forma, fare esercizio fisico, non usare alimenti contenenti zuccheri e grassi saturi e praticare esercizi di rilassamento possono ridurre o eliminare l’ipertensione. Naturalmente le stesse misure impediscono di sviluppare ipertensione, molto meglio prevenire che dover curare.
COLESTEROLEMIA
Il colesterolo è una molecola lipidica costituente della membrana cellulare. È prodotto principalmente nel fegato ed è usato per produrre alcuni ormoni e vit.D.
Il colesterolo viene anche introdotto con l’alimentazione essendo presente nei cibi ricchi di grassi animali come carne, burro, salumi, formaggi, tuorlo d’uovo e frattaglie ma anche per un eccessivo consumo di zuccheri. L’ ipercolesterolemia è molto dannosa per cuore, arterie e cervello. Nelle arterie, il colesterolo forma placche aterosclerotiche che causano un restringimento dei vasi che ostacola il passaggio del sangue, oppure provocano dilatazioni anomale, cioè gli aneurismi. Se questo avviene nelle coronarie (le arterie del cuore) aumenta il rischio di un infarto del miocardio. L’aumento di colesterolo nelle arterie che vanno al cervello (carotidi e loro diramazioni) predispone all’ictus cerebrale. Il danno arrecato dal colesterolo alle arterie è molto più grave in chi soffre d’ipertensione
DIABETE
Si parla di diabete quando la glicemia misurata a digiuno almeno due volte a distanza di una settimana è uguale o superiore a 126 mg/dl.
Esistono due forme di diabete:
- diabete tipo 1, o insulino-dipendente, riguarda circa il 10 per cento dei diabetici e che colpisce i giovani;
- diabete tipo 2, o non insulino-dipendente, riguarda circa il 90 per cento dei diabetici ed è molto spesso legato all’eccesso di peso e ad errori alimentari e di stile di vita come la sedentarietà.
Dipende dall’età, dalla familiarità e da abitudini non salutari, un’alimentazione troppo ricca di zuccheri e l’obesità. Il diabete è una malattia importante, che provoca complicanze vascolari in tutti i distretti e in particolare a carico delle arteriecoronarie, carotidi, e degli arti inferiori (danno macro-vascolare), e alle arterie dell’occhio, del rene e del sistema nervoso periferico (danno micro-vascolare). Modifiche nell’alimentazione, ritorno al peso forma ed attività fisica possono ribaltare la situazione.
Collegata ad altri fattori di rischio, come colesterolo alto, ipertensione e diabete. Sovrappeso ed obesità fanno lavorare eccessivamente il cuore. Una corretta valutazione del rischio cardiovascolare comprende la valutazione dell’indice di massa corporea (IMC, o BMI in anglosassone) e la misurazione del giro vita.
Il girovita rappresenta la misurazione della circonferenza presa nel punto medio tra l’ultima costa e la cresta dell’anca (che generalmente corrisponde alla linea dell’ombelico). Questa misura non dovrebbe superare i 94 centimetri per l’uomo e gli 80 centimetri per la donna. Quando i valori superano i 103 cm per l’uomo e gli 88 cm per la donna, la probabilità di ammalarsi aumenta molto. Il girovita è importante perché il grasso corporeo non è tutto uguale. In particolare, il tessuto adiposo concentrato nella zona addominale sembra essere particolarmente correlato a un aumento delle probabilità di soffrire di malattie cardiovascolari.
A parità di IMC sono più esposti i soggetti con una conformazione corporea «a mela», con accumulo di grasso viscerale, rispetto a chi ha una conformazione corporea «a pera», con accumuli su cosce e glutei. Ovviamente se il sovrappeso dura nel tempo, aumenta il rischio cardiocircolatorio con l’età adulta.
FUMO
Oltre ad essere causa di tumori come quello polmonare, il fumo è un importantissimo fattore di rischio cardiovascolare soprattutto nei giovani. Il fumo riduce la quantità di ossigeno che arriva al cuore, aumenta la pressione sanguigna e il battito cardiaco, danneggia le arterie favorendo la vasocostrizione e lo spasmo e favorisce la malattia aterosclerotica. Questo aumenta le probabilità di ictus o di infarto, di progressione dell’arteriopatia degli arti inferiori ed è il fattore di rischio più importante per la formazione e progressione e dell’aneurisma dell’aorta addominale.
Lo studio Interheart ha confermato come il fumo sia una delle cause più importanti di infarto miocardico non fatale, specie nei giovani, sotto i 40 anni. Fumare è dannoso in tutti i modi – sigarette, pipa, sigaro, tabacco masticabile – e il rischio è correlato strettamente al numero delle sigarette fumate: 5 sigarette fanno meno male di 20, ma anche con poche sigarette non esiste il rischio zero. Inoltre anche il fumo passivo aumenta il rischio di patologie cardiovascolari per chi è esposto, uomo o donna, a casa o nell’ambiente di lavoro, in relazione al grado di contatto e alla durata dell’esposizione. Ogni anno nel mondo muoiono 8 milioni di persone per malattie dovute al consumo di tabacco (1 persona ogni 4 secondi). In Italia sono circa 80 mila i morti l’anno per malattie dovute al fumo, di cui il 25 per cento in età compresa tra 35 e 65 anni. La speranza di vita di un fumatore è otto anni inferiore rispetto a un non fumatore.
Eppure non è mai troppo tardi per smettere, indipendentemente da quando si abbia iniziato e da quanto si fumi. Smettere di fumare allunga la speranza di vita e riduce l’insorgenza di moltissime malattie:
Smettere di fumare migliora anche la qualità della vita: olfatto e gusto migliorano già dopo alcuni giorni, la pelle ritorna più luminosa dopo alcune settimane, i denti diventano più bianchi e l’alito più gradevole, il respiro migliora e scompare la tosse da fumo, ci si muove più agilmente e, in generale, ci si sente meglio e più in forma.
A questi fattori se ne è aggiunto recentemente un’altro.
Non è una mia affermazione ma prendo atto di quanto afferma uno studio israeliano che ha comparato il fatti cardiaci e le sindromi cardiache acute partendo dal 2019 su un arco di 14 mesi, proprio per valutare i dati sia in corrispondenza con le varie ondate di Covid, sia con il periodo prima del Covid stesso.
I risultati dello studio su persone 16-39 anni possono essere riassunti nei seguenti due grafici.
Si noti l’andamento della linea rossa che illustra l’incremento del 25% dei casi cardiaci gravi fra i giovani, mentre le due linee viola e blu indicano la somministrazione del magico siero e la linea grigia l’andamento del Covid.
Ognuno è libero di trarre le proprie conclusioni.
Per evitare che mi si debba credere sulla parola,
accludo il link allo studio stesso.
https://www.nature.com/articles/s41598-022-10928-z