Triptofano. Perché è importante?
La Pellagra è una chiara dimostrazione di come l’alimentazione può influenzare, in maniera in questo caso davvero drammatica, la salute fisica e psichica delle persone. Non solo di singole persone ma, come nell’ esempio storico di cui parliamo, di intere popolazioni.
La Pellagra è diversamente nota come malattia delle tre D, in riferimento al trio di sintomi che la caratterizza: Diarrea, Dermatite e Demenza. Si hanno sintomi di vera e propria psicosi.
In assenza di trattamento, la prognosi della Pellagra è infausta, tanto che gli Inglesi parlano di malattia delle 4 D, Dementia, Dermatitis, Diarrhea e Death, cioè “morte”.
In Spagna la malattia è conosciuta come “mal della rosa dell’Asturie”, termine coniato da Casal nel 1735, il primo a descrivere questa malattia, mentre la paternità del termine italico “Pellagra” spetta a Frappolli (1771), con un chiaro riferimento al dialetto lombardo (pelle agra), in riferimento alla caratteristica ruvidità della cute associata a questa malattia.
Sul finire dell’ ‘800, inizio ‘900, si ebbe il caso italiano della “epidemia” di Pellagra e le aree più colpite furono il Veneto e la Lombardia. Tanto per vedere alcune cifre possiamo dire che dal 1887-1910 vi furono 83.600 decessi in Italia per Pellagra e dal 1910-1940 altri 20.000 decessi. Molti furono concentrati nelle due suddette regioni.
Solo nel 1937 fu chiaro che si poteva curare con supplementazioni di Niacina e nel 1945 si comprese che il Triptofano (un Amminoacido essenziale) poteva parzialmente rimpiazzare la Niacina in ratti allevati con diete carenziate. Ma quale fu la causa di questa epidemia che non è certo una malattia infettiva? Banalmente una alimentazione a base di sola polenta che è priva della Vitamina B 3 o Niacina o Vitamina PP (Pellagra preventing).
Ma la polenta veniva, e viene anche oggi ottenuta a partire dal Mais (Zea mays), la cui etimologia non è chiara, anche se si ipotizza che derivi da “mahiz”, nome col quale gli indigeni Arahuaco che Cristoforo Colombo incontrò sull’isola che battezzò Hispaniola, chiamavano la pianta da cui traevano tanta parte della loro alimentazione. Quei popoli, infatti, sfruttavano il mais in maniera razionale, non buttandone via una sola parte: con spighe, foglie e gambi facevano bevande alcoliche, preparavano zucchero, nutrivano il bestiame e ricoprivano i tetti delle capanne.
Le pannocchie, maturate al punto giusto, venivano abbrustolite sul fuoco o macinate fino ad ottenere una poltiglia gialla, che possiamo considerare grossolanamente una antenata dell’attuale farina da polenta.
Le pannocchie di mais ancora verdi, invece, venivano bollite o cotte sotto la cenere.
L’archeologo statunitense MacNeish tra gli anni ’60 e ‘70 del secolo scorso individuò la culla della coltura del mais nella grande valle messicana di Tehuacàn, nella regione di Oaxaca, dove vennero trovati i più antichi reperti archeologici del mais: piccolissime spighe con più di 5000 anni di età. Le infiorescenze femminili di tali reperti avevano raggiunto un grado di specializzazione che precludeva la possibilità di una naturale disseminazione e quindi il mais ritrovato in Messico aveva già bisogno dell’uomo per la sua diffusione.
Ma perché queste popolazioni in cui il mais era la fonte principale di nutrimento non si ammalavano di Pellagra? Perché sono importanti, a parità di risorse alimentari, anche le abitudini, ad esempio quelle culinarie.
Alcune popolazioni che si nutrono prevalentemente di mais sviluppano la Pellagra, altre con un’ alimentazione simile no. Perché? Eppure l’alimentazione a base di mais in entrambi i casi combina un basso contenuto di Triptofano con l’incapacità di estrarre la Niacina contenuta nell’alimento.
In natura, infatti, la Niacina (acido nicotinico) è poco biodisponibile perché legata a macromolecole formate da Carboidrati complessi (niacitina) o da proteine (niacinogeni).
Nelle antiche popolazioni (ma anche attuali) del Centro-Sud America che avevano una dieta fondamentalmente a base di mais, non si sviluppava la pellagra perché la vitamina può venire estratta (ed essere quindi biodisponibile) per preventivo trattamento del mais in ambiente alcalino, ad esempio con calce o cenere di vegetali, come è consuetudine tra le popolazioni dell’America centrale e meridionale per la preparazione di tacos e tortillas.
Utilizzare Niacina a dosi elevate per lunghi periodi può provocare effetti collaterali quali arrossamento, orticaria, nausea, vomito e talvolta danni epatici (2÷6 g/die).
La niacina si trova in numerosi alimenti, tuttavia buoni apportatori sono i cereali, soprattutto poco raffinati, le leguminose secche, le carni, le uova, i prodotti della pesca e le frattaglie.
In considerazione della capacità dell’organismo umano di trasformare l’Amminoacido essenziale Triptofano in Acido Nicotinico, si usa esprimere la razione consigliata in Niacina equivalenti. In particolare 60 mg di Triptofano equivalgono ad 1 mg di Niacina.
Il Triptofano è presente soprattutto negli alimenti proteici come uova, formaggi, pesce e carne in una dose variabile dai 150 ai 250 mg per 100 grammi di alimento.
Secondo i LARN, la razione consigliata è di 6,6 mg/1000 kcal con un minimo di 19 mg/die per l’uomo e di 14 mg/die per la donna. Nel caso della gestante e della nutrice è previsto, rispettivamente, un aumento di 1 e 3 mg/die.
Una dieta bilanciata, ricca di alimenti diversi come è la Dieta Zona, è la miglior prevenzione contro malattie che derivano da carenze di vitamine o sali minerali.
per approfondire: 1) Mangiare i 5 colori.Gli Antiossidanti. 2) Le 7 categorie degli alimenti, Per una scelta intelligente.